Quando è opponibile il segreto professionale dei ministri di culto, al di fuori della confessione?
Molto si dibatte, in dottrina ed in giurisprudenza, sull’effettiva portata del segreto professionale per i ministri di culto.
E’ fuor di dubbio che non sia limitato ai soli sacerdoti cattolici ma, come dice lo stesso codice, ai “ministri di confessioni religiose i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano” (art. 200 c.1 lett.a c.p.p.).
Quindi va da sé che il segreto non possa limitarsi a quanto appreso dal ministro di culto nel sacramento della confessione, sacramento che non esiste – ad esempio – nel cristianesimo protestante: quindi un’interpretazione restrittiva della norma porterebbe a svuotarla di contenuti.
Appare quindi corretta un’impostazione dottrinale che tenda a far coincidere il ministero dei religiosi con tutte quelle attività svolte nell’esercizio delle proprie funzioni, che non abbiano una natura meramente amministrativa, ma che si occupino della cura delle anime di coloro che si affidano al culto.
Quindi, come correttamente affermato dalla Suprema Corte (Cass. Sez. V pen., nr. 22827/2004), l’eventuale segreto professionale non può essere ritenuto a priori, ma va eccepito dal sacerdote allorchè la deposizione che gli viene richiesta, per aspetti particolari, possa incidere su fatti, comportamenti o notizie acquisiti” nel corso del proprio ministero”[pullquote]“l’eventuale segreto professionale non può essere ritenuto a priori, ma va eccepito dal sacerdote allorchè la deposizione che gli viene richiesta, per aspetti particolari, possa incidere su fatti, comportamenti o notizie acquisiti” nel corso del proprio ministero”[/pullquote].
Venendo quindi al caso relativo al Cardinal Bagnasco ed a Monsignor Rigon, è fuor di dubbio che rientrino nel segreto professionale i comportamenti tenuti da un sacerdote sottoposto all’autorità del proprio vescovo e del vicario giudiziale di quest’ultimo, poichè pacificamente la cura delle anime dei sacerdoti, e la gestione delle loro funzioni, non può avere natura meramente amministrativa, ma anzi deve per propria natura essere solidamente ancorata ai valori morali e fideistici espressione della culto religioso.